Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte venticinquesima

Come ogni settimana, il babbo disse a Giulietta di appoggiare gli occhiali sul tavolo e di mettersi ferma dinanzi alla finestra.
La fissò intensamente per poco tempo. La donna tacque, il volto si rilassò assumendo un’espressione indifferente dacché era corrucciata. I pensieri sugli spiriti che la perseguitavano in casa le diedero tregua.
«Come si sente ora?», fece il babbo.
Non rispose prontamente, dal tono della voce pareva che fosse un poco assopita ma con gli occhi spalancati.
«Bene…Bene…»
«Ricorda il suo nome? Mi dica il suo nome.»
«Giulietta.»
«Ripeta il nome!»
«Mi chiamo Giulietta…»
«Come si sente?»
«Sto bene…»
Ripetè parola per parola come un rosario la formula che il babbo stava pronunciando.
«Che cosa percepisce, Giulietta?»
«Mi stanno guardando, li vedo in faccia…mi deridono…», rispose con desolata tristezza scuotendo il capo.
«Parole luride, malefiche…ghigni orrendi…Andate lontano…lontano…lontano da me.»
E con tono implorante e il volto di supplica:
«In pace…lasciatemi in pace…Vi prego…andate lontano…lontano…da…me…»
Il babbo alzò la mano sinistra rivolgendo il palmo verso Giulietta tenendo le dita un poco incurvate e con l’altra mano strinse la mia per tranquillizzarmi e per proteggermi dagli spiriti che abbandonavano la povera Giulietta.
La donna allora abbassò lentamente le palpebre, reclinò da un lato la testa. Il corpo pareva totalmente rilassato, come se fosse disteso su di un letto eppure rimaneva in piedi, sorretta da fili sottilissimi e invisibili. Giulietta era semicosciente poiché il Mago l’aveva indotta in una trance collaborativa.
«Ecco…ecco…ecco!», fece con un filo di voce, «Si stanno staccando, non mi sento più stretta nella loro morsa!»
Prese a oscillare prima a destra e poi a sinistra, poi avanti e indietro, l’ampiezza delle oscillazioni aumentavano sempre più tanto che tutto il corpo andava oltre l’appoggio dei piedi sul pavimento. Pareva dover cadere per terra e non cadeva. Le assi del pavimento scricchiolavano sotto ai piedi della donna.
«Addio, addio, non tornate più da me…cattivi, siete stati cattivi…»
Seduto vicino al Mago, osservavo assai più attentamente, ben più affascinato, di quando vidi con mio zio, all’avanspettacolo, un prestigiatore esibirsi in numero di ipnotismo al Teatro Eden. Quella volta pensai che fosse una specie di scherzo, con Giulietta invece non era per divertire. Incantato, trattenevo il fiato, immobile, attentissimo. E come avrebbe potuto essere altrimenti di fronte a un fenomeno così inusuale? Quale altro bambino può aver mai visto un simile portento?
«Cosa sente ora, Giulietta?»
«Sento un ronzio interno e la sua voce, Riccardo…»
«Vede ancora quei volti?»
«Non li vedo più, solo lei e il suo figliolo…No…vedo anche un volto confuso vicino al comò…»
Il babbo mormorò un esorcismo e ancor più tese la mano verso Giulietta.
«Ecco…Ecco…Ecco…l’immagine si è formata…una donna che ora vorrei non vedere!»
«Conosce quel volto, Giulietta?»
«È Gemma, la mia domestica…» rispose con dolore.
A quel punto il Mago abbassò la mano facendo un gesto deciso per fugare la trance, si alzò e prese per mano la donna. Giulietta aprì gli occhi e cessò di oscillare. Si mostrò presto franca nei movimenti e nuovamente vivace nel parlare.
«Questa è una persona cattiva, ma io non posso fare molto. Lei deve scacciare questa donna dalla sua casa».
Udite queste parole, strinse gli occhi piangendo con la sua anima. Riprese con voce sconfortata, come se pensasse a voce alta:
«Non posso…non posso…l’ho giurato a mia mamma sul letto di morte che l’avrei aiutata per sempre…come potrei cacciare il mio sangue?» e sottovoce, tra i denti, si liberò di un peso: «È la figlia di mio padre che la mamma ha accolto per compassione…»
«Come si sente ora, Giulietta? Si sente libera?» chiese il babbo con tono greve.
«Sì Riccardo, ora ho la testa leggera, svuotata…Ti ho fatto paura?». Risposi no con la testa, abbassando lo sguardo.
«Macché paura, è il mio piccolo uomo.»
«Sai che il tuo babbo è un grand’uomo? Dagli sempre retta. Devi essere fiero di lui!»
Il babbo l’accompagnò alla porta e anche la mamma accorse per salutare Giulietta degli spiriti.
Con il tono scherzoso ma consapevole di fare una raccomandazione inutile disse:
«E lasci perdere i suoi antenati, sennò ritorneranno» e poi gravemente, guardandola in viso: «Quella…la mandi via per il suo bene, mi dia ascolto!»
«Non posso…lei verrebbe meno a un giuramento? Vorrà dire che lei mi aiuterà. Riccardo ci vedremo venerdì prossimo, ma se ho bisogno prima…verrò martedì oppure mercoledì.»
E chiusa la porta, la mamma disse:
«È fissata, una visionaria, ha delle manie»
«No, nessuna fissazione…Fîdet Bruna. Fidati!»

(Continua)

Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventiquattresima

Giulietta, marchesa zitella discendente di un’antica famiglia senatoria bolognese, ogni venerdì si presentava in casa nostra per ottenere i servigi del babbo perché pensava, come tanti, che questo giorno fosse favorevole alle pratiche magiche e se non avesse potuto in quel giorno, avrebbe scelto un giorno con la erre.
Io stavo con il babbo quando suonò il campanello di casa e sentimmo la mamma:
«Buongiorno signora Giulietta! Attenda un momento, vado a vedere se mio marito è libero».
«C’è quella borsa della Giulietta degli spiriti», così la mamma disse a bassa voce strizzando l’occhio.
«Falla passare. Oggi è con i cagnini?» Portava spesso con sé tre vivaci e innocui piccoli barboncini bianchi di cui avevo paura; per questo salivo sul tavolo o su di una sedia e lei si divertiva.
«No, è venuta da sola», rispose la mamma.
«Allora, stai qua vicino a me.»
La donna entrò speditamente. Era sulla cinquantina, bassa, minuta, vestiva semplicemente spesso con pantaloni di un fine principe di galles e un maglioncino bianco, con il collo alla ciclista, indumenti che raccontavano la loro provenienza dai migliori negozi del centro. Aveva una massa di capelli rossi pettinati a ciocche e nascondeva lo sguardo dietro a dei grandi occhiali dalle spesse lenti scure.
«Buongiorno Riccardo… E tu hai già studiato?», cinguettò la Marchesa come le donne scioccamente si rivolgono con i bambini. Non le risposi. Camuffai con la timidezza la mia precoce insofferenza per moine e voci querule rammentando i bei giocattoli che, ogni anno, mi regalava per la Befana e il compleanno. Il babbo rispose al posto mio:
«Non ha avuto molti compiti, oggi mi farà da segretario. Le spiace?»
«No, no, per me può rimanere. Gli sta già insegnando le sue arti? Mo l è un fangén, Riccardo… è un bambino!»
«Sì, è un bambino che, però, deve crescere conoscendo tutto dalla vita, il bello e il brutto della vita. I bambini non devono crescere nella bambagia, non si devono tenere sotto a una campana. Io quando avevo la sua età fumavo come un turco e andavo già a…pasturèr», facendo l’occhietto alla marchesa. Già: in appena undici anni trascorsi insieme a mio padre conobbi senza alcun filtro, per quello che erano, una gran quantità di forme e modi con cui si declina l’umanità. La mia casa era come un paiolo dove si cuocevano farine di ogni genere; incontrai, cioè, fin da bambino, una grande varietà di caratteri e tipi eterogenei, appartenenti a ogni ceto sociale che svolgevano ogni tipo di professione: in attesa dei servigi del babbo, nella mia casa di Via Galliera si potevano incontrare contadini, impiegati, prostitute, politici pastori, giornalisti, nobili, domestici, artisti, tutti democraticamente uniti dalle batoste della vita, da ostacoli, dubbi, inconvenienti più o meno gravi, oppure per migliorare il proprio stato non necessariamente cattivo.
«Eh mo csa dîṡel Riccardo! Ma cosa dice! Tutti sanno che lei è un bel galletto…con sua moglie ha avuto un gran buon gusto… Eh, questa volta non seguire mica quello che ha detto il babbo! Ma…Non gli insegnerà mica di fumare!», disse Giulietta con un lieve cinguettio.
«Ma no, ma no… era per dire. Per quanto riguarda questo lavoro si vedrà…gli insegnerò se lo vorrà e se dimostrerà di averne la vocazione e se ne sarà degno. Voglio piuttosto che si diplomi.» E chiuse il discorso.
«Comm stèla Giulietta. Come sta?»
La donna si corrucciò.
«Stanotte non ho dormito… Li ho sentiti, mi chiamavano, mi dicevano parole oscene, ridevano di me, spostavano le cose sui mobili, aprivano gli sportelli, buttavano per terra i libri dalla libreria!».
«Forse sono degli sono degli spiriti burloni, con l’amuleto indosso non deve avere paura, non le faranno del male. Però lei deve smettere di fare il tavolino».
«Ma come faccio? Io voglio parlare con i miei antenati…voglio sapere».
«Sapere, sapere, sapere, cosa dovrà mai sapere…Glie l’ho detto tante volte: i morti vanno lasciati in pace. Sono loro che vogliono parlare con noi e ce lo fanno capire. Non sono al nostro servizio. E poi vede come va a finire? Il tavolino viene mosso da altri, si trova la casa zeppa di spiriti che non la fanno dormire».
«Ha ragione Riccardo, ma è colpa della mia domestica».
«La domestica non sa quello che fa. Io posso solo proteggerla dagli spiriti, non dalla sua domestica. La mandi via».
«Posso, allora, venire da lei per parlare con i miei antenati?»
«Le ho detto già che non voglio, i morti vanno rispettati. Non si evocano per chiacchierare, per capricci o scrivere libri. Faccia, piuttosto, dire loro delle messe e vada in Certosa a pregare»
«Io prego sempre e vado in Certosa…il resto non posso farlo. Sento in testa la voce del mio trisavolo, mi chiama, mi dice che ha da parlarmi…»
«Ma quello non è un suo ascendente, gliel’ho detto più volte. Lei deve togliersi di torno quella donna e faccia attenzione ai suoi soldi»
«Non posso mandarla via…sa bene, l’ho promesso alla madre»
«Allora non si lamenti. Quest’è beneficenza che le si ritorce contro. Quella donna è una malefica pasticciona. Io a questo punto posso solo riparare i guasti degli altri. Si ricordi, però, di non approfittare della benevolenza e della protezione che l’amuleto le concede. Uno di questi giorni potrebbe arrivare qualche spirito maligno…infernale. Quelli fanno sul serio, non si limitano a buttarle a terra i libri!»

(Continua)

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